COMPAGNIA STABILE CAROSSIA

 “Ho sentito i loro passi” racconta la storia di una famiglia, di vite normali il cui destino si muta all'improvviso, nel momento in cui le leggi razziali del 1938 pongono i protagonisti difronte alla “colpa” di essere ebrei.

Un amaro risveglio fatto di esclusione da un tessuto sociale, umano, lavorativo del quale, fino ad un attimo prima, erano parte integrante; una esclusione nella quale si legge la volontà di piegare con violenza la storia, negando ad alcuni il diritto di esistere.

E' il racconto di un paese, l'Italia, che si scopre all'improvviso forzatamente antisemita, ma è anche la narrazione del tentativo estremo di continuare a vivere coltivando la speranza che l'orrore e l'ingiustizia presto finiscano.

Uno spettacolo che si snoda fra il 1938 ed il 1943, attraverso la vita di un uomo una donna e la loro figlia, protagonisti involontari di una delle pagine più ingiuste e brutali della nostra storia.

Il sipario si chiude sull'alba del 16 ottobre del 1943, la mattina in cui inizia la deportazione degli ebrei italiani.


IN FONDO A QUELLA FOSSA

In memoria delle Foibe

Testo e Regia Irene Carossia

E' SOLO UN FIUME

1915-1918

Testo e Regia Irene Carossia

 “La guerra è un massacro fra uomini che non si conoscono  a vantaggio di uomini che si conoscono  ma eviteranno di massacrarsi reciprocamente”

P.Valéry

Come si può raccontare un massacro al quale ancora oggi, a distanza di 100 anni, non si è riusciti a dare un senso, se non attraverso la dimensione umana di due vite travolte dalla storia.  Tre anni infami, governati dall'orrore, vissuti nell'assoluto spreco della vita di tanti, lungo un confine presunto chiamato a separare persone, ancora prima che luoghi, questa è la guerra del '15-'18.

Un fronte vissuto nelle trincee: sepolture a cielo aperto dove si sono consumati sacrifici umani, come in un macabro rito, nel quale il freddo, la paura, le malattie, la disperazione e l'impossibilità di prevalere gli uni sugli altri hanno reso ancora più assurdo il concetto di conflitto.  Schieramenti umani separati da lembi di terra di nessuno, dove i colori delle divise non avevano più nessun significato, soffocati dal sangue, dalla morte, dal filo spinato, dai gas asfissianti, questo è ciò che è rimasto negli occhi dei sopravvissuti, insieme alla violenza degli attacchi all'arma bianca, il corpo a corpo delle baionette.

Dall'altra parte l'orrore, il senso di impotenza e la paura vissuti dai civili e dalle donne, offertesi come infermiere volontarie, pronte a curare uomini in tutto simili ai loro padri, figli, fratelli, compagni, mariti.

Questo spettacolo racconta la dimensione di questi due fronti, la trincea e l'ospedale, attraverso gli occhi di una donna ed un uomo, disperatamente separati da un fiume: l'Isonzo.

Bianca e Francesco non si conoscono: giovane vedova goriziana lei ed emigrante friulano lui, appena rientrato in Italia.

Entrambi hanno già dei sogni infranti, vite spezzate e, tuttavia, nell'incontro casuale, ritrovano la voglia di vivere, di amare, di credere, di costruire un futuro comune, un nuovo sogno che verrà interrotto brutalmente dalla dichiarazione di guerra fra Italia ed impero Austro ungarico del 24 Maggio 1915.

L'Isonzo, il fiume che separa le loro vite, diviene un confine di morte e di sofferenza; lei impegnata a curare i feriti e consolare i morenti, lui impegnato a sopravvivere ed uccidere.

L'orrore della Grande Guerra raccontato attraverso l'angoscia di due esseri umani, una donna ed un uomo per rappresentarne molti, troppi.

L'OPRA FATALE

Giuseppe Verdi racconta le sue eroine

di Irene Carossia 

QUELLO CHE E' FATTO E' FATTO

Liberamente ispirato a Macbeth di William Shakespeare

Testo e Regia Irene Carossia.

La difficoltà dell'accostarsi ad un testo shakespeariano è legata alla consapevolezza di trovarsi sempre di fronte ad uno scrigno nel quale è raccontata la vita umana, in ogni sua sfumatura.

Scriveva il grande regista Peter Brook che Shakespeare non esprimeva mai giudizi nelle sue opere, piuttosto era in grado di offrire un'infinità di punti di vista, ognuno con la propria pienezza di vita.

L'occasione nel 2016 data dalla ricorrenza dei 400 anni dalla morte del grande drammaturgo, impone una riflessione che, per noi, si concretizza nella creazione e messa in scena di questo spettacolo, progetto complesso ed ambizioso di racconto del Macbeth.

Due fronti di riflessione costituiscono l'ossatura: da un lato la parola e dall'altra i contenuti in essa celati.

La parola shakespeariana considerata nella sua consistenza di guanto che viene animato dalla mano di chi lo indossa: l'interprete, il quale si insinua nel fitto tessuto emotivo dello spettatore.

I contenuti che esplodono nella vita degli interpreti, vita narrata senza veli: la miseria accanto alla nobiltà, il sublime accanto all'orrore, la disperazione accanto alla speranza.

Il grande poeta deve essere celebrato con l'umiltà degli interpreti, esseri umani alla mercé del testo ed ecco, quindi, che si disvela un terzo fronte dello spettacolo: la fatica dell'attore-essere umano nella relazione con l'imponenza del ruolo e la propria fragile umanità.

MACBETH si presenta come l'opera più cruenta, sanguinaria e faticosa di Shakespeare.

Siamo di fronte alla tragedia della negazione della maternità, della smania ostinata di potere, della crudeltà, della follia, della morbosità di una relazione di coppia malata e perversa, della sovrapposizione dei ruoli e della vergogna.

Temi devastanti perché tragicamente umani che passano crudelmente dal corpo e dall'anima dei due protagonisti, soli in scena nel circuito chiuso e perverso della loro relazione.

Un uomo ed una donna, reciprocamente vittime e carnefici, in scena nei costumi degli eroi shakespeariani, ma anche in scena negli umani panni di attori, fragili essenze che, nel prestarsi ai personaggi, si disvelano un mondo parallelo di sofferenza e fatica dell'esistere.